Soluzioni
  • Consideriamo l'applicazione lineare definita con le immagini:

     f(1,1,1) = (0,1,1) ; f(0,1,1) = (-1,-1,-1) ; f(2,2,0) = f(a,4,3) ; f(1,2,3) = (0,0,0)

    Il primo punto del problema ci chiede di determinare il numero reale a in modo che sia soddisfatta la terza uguaglianza. Per farlo, partiamo con alcune considerazioni di carattere squisitamente teorico.

    I vettori preimmagine:

    v_1 = (1,1,1) ; v_2 = (0,1,1) ; v_3 = (1,2,3)

    costituiscono una base per R^3, infatti se li disponiamo per colonne, ricaviamo la matrice:

    [1 0 1 ; 1 1 2 ; 1 1 3]

    il cui determinante è non nullo, pertanto il suo rango di A è 3, così come è 3 il numero di colonne linearmente indipendenti.

    In definitiva:

    mathcalB = v_1, v_2,v_3

    è una base di R^3, di conseguenza le loro immagini mediante f costituiscono un sistema di generatori per l'immagine dell'applicazione lineare, vale a dire:

     Im(f) = Span(f(v_1),f(v_2),f(v_3)) = Span((0,1,1),(-1,-1,-1), (0,0,0)) =

    Si noti che il vettore nullo è del tutto inutile, perché non genera nulla, se non se stesso.

    = Span((0,1,1),(-1,-1,-1))

    Poiché i vettori immagine

    f(v_1) = (0,1,1) ; f(v_2) = (-1,-1,-1)

    non sono multipli tra loro, essi sono linearmente indipendenti e costituiscono, quindi, una base per l'immagine di f

     mathcalB_(Im(f)) = f(v_1),f(v_2) = (0,1,1),(-1,-1,-1)

    Nota una base, possiamo calcolare la dimensione dell'immagine dell'applicazione: basta contare gli elementi che costituiscono mathcalB_(Im(f)) e scrivere che:

    dim(Im(f)) = 2

    A questo punto, grazie al teorema delle dimensioni possiamo calcolare la dimensione del nucleo dell'applicazione:

     dim(Ker(f)) = dim(R^3)-dim(Im(f)) = 3-2 = 1

    da cui deduciamo che la dimensione del nucleo di f è 1.

    In accordo con la definizione di dimensione di uno spazio vettoriale, ogni base del nucleo sarà formata da un solo vettore.

    Dalla traccia sappiamo che f(1,2,3) = (0,0,0), per cui (1,2,3) è un vettore nel nucleo:

    (1,2,3)∈Ker(f)

    Di più! Esso costituisce una base del nucleo.

    mathcalB_(Ker(f)) = (1,2,3)

    Dopo questo preambolo che ci ha permesso di determinare una base del kernel, possiamo determinare il numero reale a tale che

    f(2,2,0) = f(a,4,3)

    Per prima cosa portiamo tutto al primo membro

    f(2,2,0)-f(a,4,3) = (0,0,0)

    e sfruttiamo l'additività dell'applicazione lineare

     f((2,2,0)-(a,4,3)) = (0,0,0) ; f(2-a,-2,-3) = (0,0,0)

    L'ultima relazione si traduce nella seguente richiesta: per quali valori di a il vettore w = (2-a,-2,-3) appartiene al nucleo dell'applicazione? Se rispondiamo a questa domanda, abbiamo ricavato a.

    Ora w∈Ker(f) se e solo se è combinazione lineare degli elementi della base scelta, ossia se e solo se esiste uno scalare λ∈R tale che:

    (2-a,-2,-3) = λ(1,2,3)

    ossia

    (2-a,-2,-3) = (λ,2λ, 3λ)

    Uguagliando ordinatamente le componenti, ricaviamo le equazioni che compongono il seguente sistema

    2-a = λ ;-2 = 2λ ;-3 = 3λ

    Risolviamolo con il metodo di sostituzione. Dalla seconda relazione si ottiene facilmente che λ = -1 e rimpiazzando questo valore nelle altre equazioni scopriamo che:

     2-a = λ → 2-a = -1 → a = 3 ;-3 = 3λ → -3 = -3

    In definitiva, il valore da attribuire ad a affinché sussista l'uguaglianza

    f(2,2,0) = f(a,4,3)

    è a = 3.

    Studio della diagonalizzabilità di f

    Per stabilire se f è un endomorfismo diagonalizzabile, abbiamo bisogno della matrice associata rispetto a due basi fissate.

    Come base del dominio di f possiamo scegliere la seguente:

    mathcalB = (1,1,1), (0,1,1), (1,2,3)

    mentre come base dello spazio di arrivo scegliamo la base canonica di R^3:

    mathcalC = (1,0,0), (0,1,0), (0,0,1)

    La matrice associata a f rispetto alle basi mathcalB, mathcalC è quella matrice che ha per colonne le coordinate rispetto alla base d'arrivo delle immagini secondo f dei vettori della base di partenza.

    Proprio perché la base di arrivo è quella canonica, basterà disporre in colonna le immagini mediante f dei vettori

    (1,1,1) ; (0,1,1) ; (1,2,3)

    che sono:

     f(1,1,1) = (0,1,1) ; f(0,1,1) = (-1,-1,-1) ; f(1,2,3) = (0,0,0)

    Otteniamo, così, la seguente matrice:

    A = [0 -1 0 ; 1 -1 0 ; 1 -1 0]

    Se A è una matrice diagonalizzabile su R, lo sarà anche f e viceversa.

    Determiniamo il polinomio caratteristico definito come il determinante della matrice (A-λId_3), dove Id_3 è la matrice identità di ordine 3.

     p(λ) = det(A-λId_3) = det[-λ -1 0 ; 1 -1-λ 0 ; 1 -1 -λ] =

    Usando lo sviluppo di Laplace sull'ultima colonna, ricaviamo immediatamente che il determinante è:

     = -λ(-λ(-1-λ)-(-1)·1) = -λ(λ^2+λ+1)

    Calcoliamo le radici reali del polinomio caratteristico, che rappresentano gli autovalori della matrice A:

    p(λ) = 0 → -λ(λ^2+λ+1) = 0

    In virtù della legge di annullamento del prodotto, il polinomio è nullo se e solo se

    -λ = 0 ∨ λ^2+λ+1 = 0

    da cui λ = 0.

    Si noti che l'equazione di secondo grado

    λ^2+λ+1 = 0

    non ha soluzioni reali, infatti il discriminante è minore di zero.

    La matrice A ha un solo autovalore con molteplicità algebrica 1, di conseguenza non può essere diagonalizzabile per via del teorema di diagonalizzabilità: viene meno l'ipotesi secondo cui il numero di autovalori della matrice, contati con la loro molteplicità, dev'essere uguale all'ordine della matrice.

    Poiché A non è diagonalizzabile, non lo sarà nemmeno l'endomorfismo f, e ciò conclude l'esercizio.

    Risposta di Galois
 
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